Slogan consumati e vecchie promesse, la campagna elettorale sembra sganciata dalle difficoltà che il Paese e il mondo stanno vivendo.
Si parla di crisi energetica ma nessuno è in grado di proporre soluzioni che non siano bonus e sussidi. Esattamente ciò che Draghi non vuole fare: stop a misure tampone, serve una risposta internazionale.
Fino a ora – dall’inizio della crisi energetica a oggi – l’Italia ha investito a sostegno di imprese e famiglie il 2,8 per cento del Prodotto interno lordo. 49,5 miliardi di euro che ne fanno il secondo paese in Europa ad aver stanziato più aiuti.
Sta in questi numeri la risposta che Palazzo Chigi manda ai partiti, che dal palco della campagna elettorale chiedono nuovo debito, arrivando a ipotizzare uno scostamento di bilancio di 30 miliardi.
Una richiesta che è all’opposto della linea Draghi, che non ha mai amato alcun tipo di sussidio o bonus e che ritiene che anche in questa fase le misure tampone lascino il tempo che trovano.
Il premier è conscio delle difficoltà che il Paese – in primis le aziende – stanno attraversando ma è altrettanto consapevole che non siamo di fronte a un fenomeno passeggero. Motivo per cui non si può impiccare il bilancio dello Stato a sforzi che tra poche settimane sarebbero già sorpassati.
A tutti quelli che lo chiamano Draghi ripete due cose:
- Primo: “non c’è una lira”. I conti sono già al limite del loro sfruttamento e tirare ulteriormente la corda significherebbe esporre il paese a rischi ancora più gravi.
- Secondo: “la soluzione si deve trovare a livello europeo”. Un po’ come per la pandemia anche per questa emergenza serve uno sforzo coordinato che può tramutarsi anche in nuovo debito, ma condiviso e avvallato da tutti.
È di fatto la grande battaglia italiana. Che Draghi ha iniziato ben prima che scoppiasse la guerra in Ucraina e che la situazione degenerasse, ma che sino ad ora ha sempre scontato l’avversità della Germania e a seguire dell’Olanda… CONTINUA A LEGGERE