Draghi rientra in Italia da Kiev dopo la visita con Macron e Scholz più ottimista tanto sulla pace quanto sul price cap per il gas. Alla fine Putin e Zelensky si siederanno a trattare.
Mentre i tre presidenti, insieme a Zelensky, attraversano il giardino di palazzo Mariinskij, suonano le sirene. Nessuno si ferma, la conferenza stampa prende il via come se niente fosse. Già questo basta per capire quanto la situazione sia cambiata nel giro di poche settimane.
Kiev non può più essere raggiunta da colpi di artiglieria ma solo da un attacco missilistico. E se davvero partisse un razzo, i sistemi di difesa lo intercetterebbe in anticipo, garantendo 10 minuti di tempo per mettersi tutti al riparo. Non è una grossa consolazione quando si vive un conflitto, ma tanto basta per riappropriarsi di un po’ di normalità e soprattutto sperare che alla fine questa guerra possa terminare presto.
Davanti ai 50 giornalisti che hanno viaggiato 16 ore sul treno che ha portato Draghi, Macron e Scholz nella capitale ucraina, è proprio il Presidente del Consiglio dell’Italia quello più a suo agio. Macron deve farsi perdonare quella frase in cui sosteneva che “non bisogna mortificare la Russia”, Scholz è stretto nell’imbarazzo di una Germania timida su sanzioni e blocco del gas. Draghi invece non deve cambiare postura. Ha sempre detto che bisogna sostenere l’Ucraina, che va aiutata a difendersi, ma che al tempo stesso bisogna lavorare per un cessate il fuoco. E ora ha lo spazio per affinare la sua strategia.
Draghi è a suo agio sulla scena internazionale in questo momento. Lo spread è schizzato verso l’alto facendo sentire subito i suoi effetti sui conti pubblici. Ma soprattutto la scena internazionale gli permette di non dover intervenire su quanto sta accadendo tra i partiti della sua maggioranza. La Lega – con Salvini messo sul banco degli imputati dai suoi – e il Movimento 5 Stelle vicino alla scissione con la guerra tra Conte e Di Maio… CONTINUA A LEGGERE